Da mesi sentiamo parlare di nuovo Piano Strutturale, strumento che, in Urbanistica, è come la Costituzione che regola lo Stato. Il primo passo, si dice, è la stesura del Piano Strategico, cioè l’indirizzo che vorremmo dare al futuro della nostra città, lo scenario, il piano d’azione, la visione, opportunità e obiettivi.
La “strategia” è infatti un modo di organizzare una pluralità di azioni condotte da attori diversi per interessi e competenze che, altrimenti, si muoverebbero indipendentemente l’uno dall’altro.
Piano, quindi, che per forza di cose dovrà essere connesso con quello dei territori confinanti che hanno stessa fisionomia storica, sociale e culturale e identica fisicità geomorfologica e idrografica, tanto da configurare una sola identità e riconoscibilità.
Molti possono essere i punti di vista nel vedere il futuro della propria città. Ma questo è il momento di fare sintesi. Gli indirizzi che verranno delineati avranno un respiro lungo e agiranno lungo le coordinate di tempo e spazio in modo costante. Abbiamo, con la ridefinizione del Piano Strutturale, l’opportunità e la responsabilità di imprimere al nostro territorio quell’assetto coordinato e coerente che anni di politiche prive di orizzonte hanno contribuito a ostacolare e poi disgregare.
Le criticità di Lucca sono storiche, mai risolte, nuove e anche future: grande viabilità esterna, rete dei trasporti e della mobilità, dei collegamenti autostradali e ferroviari, nuovi modelli di sviluppo e di bonifica della cintura periferica urbana, trasformazione e riuso del patrimonio edilizio dismesso (industriale, civile, militare e del demanio), fabbisogno di attrezzature e parcheggi, trasformazione e rinnovamento del tessuto e delle strutture interne alla città murata. In più è necessario recuperare la coscienza del rapporto reciproco tra città dentro le Mura e città fuori rilanciandone gli aspetti virtuosi e recuperando ciò che vale la pena d’essere recuperato nei quartieri esterni: liberare le aree costruite e mal congegnate, ritrovare i corridoi del verde fino alle Mura, demolire quando è necessario.
Fondamentale quindi partire dal chiederci quale città vorremmo. Una città turistica? E che tipo di turismo? Di massa (con ritorni economici forse immediati ma carente di relazione col visitatore che l’offerta urbana di Lucca potrebbe invece sviluppare) o di qualità? Una città culturale che insista sulla valorizzazione dei grandi musicisti lucchesi? Una città commerciale, una città lanciata verso le innovazioni tecnologiche nel settore industriale, una città che ritorna all’agricoltura?
Dobbiamo pensare a un amalgama intelligente di tutte queste e altre vocazioni identitarie di Lucca: una città turistico-culturale di qualità, con un settore manifatturiero innovativo e uno sviluppo agricolo di colture pregiate.
Dobbiamo in prima istanza progettare una mobilità sostenibile pensando a una città a misura dei cosiddetti “utenti deboli”, bambini, anziani e disabili. Concetto questo senz’altro riduttivo perché sono spesso le circostanze a creare utenza debole: non si trova forse in condizione di “mancanza” un adulto in piena salute che si trovi ad attraversare una strada di quartiere senza la necessaria illuminazione? Solo per fare un esempio e semplice.
Questa è l’occasione per dare sostanza a un nuovo modo di concepire la mobilità e la viabilità. Pensiamo a un servizio pubblico (non vuoto a perdere) con un hub-unico di trasporto urbano ed extraurbano, a un nuovo ponte sul Serchio, a una sub-urbana completata: portare quindi in centro le persone e non tutte le auto e allontanare i mezzi pesanti dalla circonvallazione (purtroppo uno dei refrain più sentiti soprattutto durante le campagne elettorali che si susseguono, richiesta pressante e improcrastinabile con realismo).
Agendo su un principio si generano dei positivi effetti secondari, una sorta di reazione a catena che la politica ha il compito di prevedere e programmare: ad esempio, se si migliora la condizione viaria delle biciclette e dei pedoni con percorsi protetti (piste ciclabili, sottopassi, ecc.), apertura e collegamento di tutte le strade interne dei quartieri si creeranno alternative all’uso dell’auto e automaticamente si ridurrà il traffico motorizzato. La conseguenza sarà che anche l’automobilista guiderà in una condizione più fluida. La moderazione della circolazione costituisce una potente strategia d’organizzazione del traffico che migliora le condizioni ambientali, accresce la sicurezza e ottimizza la qualità urbana. Costruire scenari è anche questo: non fare previsioni fantasiose ma procedere per “cosa potrebbe accadere se”. Anche a questi principi si dovrebbe ispirare il nuovo Piano Strutturale. Ripartiamo da un nuovo modo di fare urbanistica, anzi dall’Urbanistica, visto che a Lucca sono anni che non viene praticata, abdicata a favore di un generico e monotono “piano di costruzioni” per lo più di pessima qualità tecnica ed estetica. Un’Urbanistica funzionale ai bisogni dei cittadini-abitanti (in tutte le loro flessioni anagrafiche e di stile di vita) e ispirata ai principi del recupero e del riuso del patrimonio edilizio. Con il coraggio di osare, di diminuire anche le volumetrie a vantaggio di possibili aree verdi. Rilevare i camaleontici caratteri di una città è osservare nel dettaglio i luoghi, i materiali urbani, i loro attributi metrici e materici, lo stato di conservazione, la loro adattabilità e capacità di trasformazione.
Va ripensato in quest’ottica anche l’utilizzo dei tanti immobili posti tra la Stazione e l’ospedale Campo di Marte dove potrebbero sorgere alcuni luoghi utili per la città: una cittadella dei trasporti con parcheggio scambiatore ferrovia-pulman-auto; una zona finanziaria con l’accorpamento degli uffici oggi sparpagliati; un altro luogo per il divertimento (ne vogliamo parlare?); una cittadella dello sport al servizio delle società sportive e delle scuole e un’area dedicata all’istruzione e alla ricerca, tra stadio e vecchio ospedale, oltre a destinare all’uso sanitario una parte del Campo di Marte. È necessario definire un orizzonte di senso che investa simultaneamente le diverse parti della città, le attraversi e le colleghi al fine di costruire sequenze nelle quali si possano riconoscere le pratiche sociali del nostro vivere oggi e magari anche domani…
Per invertire tendenze e riconquistare equilibri occorre un’opera di trasformazione a medio e lungo termine, una disponibilità cosciente da parte di operatori, imprenditori, categorie economiche, enti, associazioni in grado di armonizzare questi nuovi indirizzi, strategie e principi con la volontà di cambiare. Ma la sfida di questo preciso momento storico è acquisire un nuovo metodo che si faccia forte di mezzi e strumenti intermedi per monitorare continuamente i risultati sul territorio, sull’economia, sulle parti più sensibili dei beni culturali, sul paesaggio. Non tutto ciò che viene realizzato con le migliori intenzioni risulta “bello” e non tutto ciò che c’è già merita di essere tramandato e conservato come “bello”. Proprio per questo ogni intervento dovrà essere valutato analizzando punti di forza e di debolezza interni, ma anche le opportunità e le minacce del contesto esterno.
E poi agiamo. Agiamo con determinazione, con sicurezza ma anche con quella proficua umiltà della verifica periodica dei risultati raggiunti, in modo anche da poter correggere le linee adottate.
La politica deve poter avere l’incisività per iniziare un dibattito, un sogno? Un sogno che non deve rimanere tale. Questo è il nostro tempo.
Serena Mammini, Celestino Marchini