Sono entrati di notte e hanno violato “il luogo”, hanno distrutto, imbrattato, rubato. Hanno pure spaccato il presepe che alcuni ragazzi stavano costruendo. Un atto vandalico a opera di ignoti, come usa dire in questi casi. I “soliti” ignoti.
Il “luogo” è quello dell’incontro, della crescita, dello scambio e della formazione, è il luogo dove matura la coscienza critica, dove si cresce, si conosce. È il “luogo” Scuola. Il luogo offeso e violentato.
Questa violenza un volto ce l’ha, ed è nostra responsabilità connotarlo.
Le autorità indagheranno sugli esecutori materiali, sui soliti “ignoti”, che agiscono spavaldi “tanto è lo stesso”, privi di speranza di riscatto? Aggressori aggrediti? Non so, penso però che un affronto alla scuola, alla scuola di tutti sia una ferita profonda alla nostra identità. La gravità del gesto si accompagna alla profondità di un disagio che trova espressione nell’offendere ciò che appartiene alla collettività. E non un luogo qualsiasi, per quanto qualsiasi luogo violato costituirebbe un atto condannabile, ma la scuola.
La stessa scuola che in seguito ai ripetuti tagli, di anno in anno, di finanziaria in finanziaria, si trova costretta a inventarsi espedienti quotidiani per garantire il massimo ai piccoli e ai meno piccoli cittadini sui banchi.
Avamposto di resistenza, quelle aule, troppe volte non a norma, sono spesso sovraffollate, alcune volte ammuffite, squallide; resistenza è ogni volta che un insegnante, solo per responsabilità verso tutti noi, riesce a non lasciare indietro nessuno o a persuadere un ragazzo, tra muri talvolta cadenti e tristi, della funzione civilizzatrice della bellezza. Sono questi reiterati “atti sovversivi” che ci restituiscono la misura di un patrimonio comune da difendere.
Quando ho appreso la notizia dell’attacco (il gergo militare mi pare appropriato) alla Leonardo Da Vinci, a quella scuola che nel 1983, in prima media, “inaugurai” io stessa, ho avvertito un inesorabile senso di tristezza e di rabbia. Un colpo di scure rabbioso, annoiato, senz’altro noncurante era stato inferto ad uno degli alberi sani della società.
Tutta la comunità è stata attaccata e vilipesa: la scuola ci responsabilizza come cittadini, ha bisogno sempre più spesso della nostra collaborazione (penso ai genitori e agli insegnanti che si organizzano per dedicare il loro tempo libero alla tintura delle pareti delle aule, o alle collette per comprare il materiale didattico e… igienico!) ma in cambio ci offre molto di più, come ha sempre fatto: cittadini, che se vogliono, possono essere liberi nel pensiero, perché consapevoli. Un grimaldello che scardina l’immobilismo con la conoscenza, l’impegno, la solidarietà, l’attenzione, l’uguaglianza, l’amicizia. Garante unico di democrazia reale perché capace di donarci gli strumenti per fare tutti la nostra parte.
Ecco perché parliamo di educazione, condurre fuori, il meglio di ognuno, da uno stato di minorità a uno stato di consapevolezza.
Ecco perché abbandonare la scuola a se stessa è un arretramento e un ripiegamento che la nostra coscienza politica non deve permetterci.
Ecco perché ripartiremo, ancora sulle gambe di chi in quella scuola ci crede, e che sono certo più robuste di quelle che prendono a calci gli oggetti e i lavori dei nostri studenti.
* L’accaduto risale alla notte tra il 25 e il 26 novembre. Queste mie considerazioni nascono di getto, poco dopo. La scorsa settimana la scuola Leonardo Da Vinci, attraverso una campagna di sensibilizzazione promossa da Il Tirreno, è stata “adottata” dalla Cassa di Risparmio di Lucca e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. Presto i ragazzi potranno riavere il materiale danneggiato. Anche se la ferita rimane.