• Concr(etica)? Ma per davvero!

    Cedere, donare, un po’ per ciascuno, qualcosa di sé, qualcosa di proprio: la solidarietà come collante di una ritrovata coesione sociale, unico elemento in grado di aiutare tutti – cittadini, imprese, istituzioni – a superare la crisi. Nessuno può farcela da solo. E così, in un mondo che si interroga sulle possibilità di “passa’ ‘a nuttata”, non ci sono più controparti e chi fa la “sua” parte ha il diritto di vedere che anche gli altri facciano la loro.

    E allora vale la pena di ricordare che da quasi cinque mesi le lavoratrici della catena low cost “Stefan” non percepiscono lo stipendio.
    Alcune donne continuano a lavorare, consapevoli però di perdere presto – definitivamente – il posto: a Lucca come a Pisa, a Prato come Montecatini, in una dimensione che supera ampiamente anche i confini del “provincione”. Nonostante i disagi (e per chi lavora a Stefan i disagi non sono mai mancati) le lavoratrici hanno continuato a dimostrare la loro serietà prestando servizio ogni giorno, festivi compresi, per non nuocere all’azienda. Sono persone d’età compresa tra i 30 e i 40 anni, fascia difficile da ricollocare, a maggior ragione in un momento delicato per il mercato del lavoro.

    Già il termine, “ricollocare”, suona sgradevole: si ricollocano gli oggetti su uno scaffale o i libri in una libreria… Le scelte semantiche, cristallizzate in un determinato ambito, sanno dirla lunga: c’è bisogno di reificare le persone, trasformarle in merce, per poterne disporre. Via i vissuti, via anche le competenze e le professionalità…
    Può accadere che avvengano ritardi nei pagamenti, accade spesso, purtroppo, in molte realtà. Certamente è un disagio, ma se l’attesa non è troppo lunga la casistica può rientrare in quella della “normale amministrazione”, nel “momento di difficoltà”. Nel caso di Stefan a Lucca però si parla di quasi cinque mesi e di una quattordicesima non pagata.
    Una delegazione di colleghe fiorentine, nelle stesse condizioni delle “nostre”, ha recentemente incontrato l’assessore provinciale al Lavoro Elisa Simoni; Rosa Mangiò, lucchese, ha chiesto e celermente ottenuto un incontro con l’assessore comunale allo Sviluppo economico e Attività produttive Giovanni Lemucchi. Tuttavia appellarsi alle istituzioni ha valore quasi puramente formale.
    Possiamo aprire un tavolo di crisi, tentare di mediare, far dialogare le parti in causa, ma si tratta comunque di un tentativo senza nessun margine di certezza.

    Non abbiamo altri strumenti nel paese di quella Costituzione ritenuta un’eccellenza per innovazione e levatura di pensiero democratico, nel cui primo articolo rimbomba forte la parola “lavoro”? E a noi consiglieri comunali, eletti dai cittadini nell’ente locale primo interlocutore per prossimità, non rimane altro che “esprimere solidarietà”?
    Certo, sensibilità e vicinanza da parte delle istituzioni sono sempre auspicabili (oltretutto mi pare che di questi ingredienti, le ragazze di Stefan, ne abbiano avuti pochi), ma non c’è alternativa che consenta di fare qualcosa di veramente concreto che non sia soltanto il compitino dell’ordine del giorno (importante, ci mancherebbe) ma troppo spesso lasciato ad ammuffire in qualche filza di qualche ufficio?
    Se non c’è forse è nostro compito creare le condizioni perché, al ripetersi di una situazione simile, sia possibile disporre di strumenti adeguati, di una sorta di “cassettina degli attrezzi”.

    Un’azione concreta non potrebbe essere l’impegno dell’Amministrazione nella redazione di un vero e proprio “patto etico” per uscire dall’impasse e iniziare, seriamente, a parlare di etica applicata alle imprese?
    Un documento vincolante, sottoscritto di fronte a un legale in presenza di un terzo che vigila (un laboratorio specializzato, un’università o un’altra struttura super partes, e perché no?, la Fondazione Pera) affinché non si scivoli in infrazioni. Non dobbiamo pensare a qualcosa di limitativo o scoraggiante per le imprese che intendono investire sul nostro territorio, anzi: il patto renderebbe la responsabilità sociale misurabile e risulterebbe finalizzato alla creazione del valore, con non trascurabili e immediati ritorni sia d’immagine, sia di affidabilità.

    Questa una possibile proposta, che potrebbe bene integrarsi con Frida (Formazione Relazione Informazione DonnA), il protocollo d’intesa pubblico-privato sottoscritto pochi giorni fa nella sede di Assindustria Lucca a Palazzo Bernardini.
    Il Comune è firmatario e condivide pertanto l’intento di “promuovere indagini conoscitive per il superamento di situazioni socio-economiche di svantaggio per le donne nel mondo del lavoro”. Le istituzioni possono dialogare con gli ordini professionali e con le imprese, possono condividere intenti e indicare, concretamente, la rotta da seguire.

    La Politica, per disegnare la città che vogliamo, ha bisogno di “slegarsi le mani” appropriandosi di audacia e consapevolezza del proprio raggio d’azione.

     

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